NEW YORK - Nell' America della recessione crolla l' ultimo tabù. Per pagare i debiti i musei smembrano le loro preziose collezioni e mettono in vendita i capolavori un tempo considerati «intoccabili», scatenando un putiferio di polemiche che ha spaccato in due il mondo dell' arte, provocando l' intervento dei legislatori. «Dopo l' espansione selvaggia degli ultimi anni, i musei americani sono in crisi di liquidità per il declino nelle rendite finanziarie e la perdita di contributi da parte di fondazioni e privati», lancia l' allarme sul «New York Times» Judith H. Dobrzynski, celebre giornalista d' arte.
Per correre ai ripari molte istituzioni hanno ridotto il personale e il numero delle mostre, bloccando le nuove acquisizioni. Quando ciò non è bastato, un numero crescente di musei ha deciso di ricorrere alla vendita di opere per fare cassa. Afflitta da un passivo di 10 milioni di dollari all' inizio del 2009 la Brandeis University annunciò la decisione di smantellare il suo Rose Art Museum e di mettere in vendita gli oltre 6.000 pezzi della collezione permanente che comprende opere di Andy Warhol, Jasper Johns, Willem de Kooning, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg e Max Weber.
Ma in seguito allo sdegno generale degli appassionati d' arte, la decisione fu poi ritirata e il presidente del college, Jehuda Reinharz, fu costretto a dimettersi. L' anno prima, la National Academy, la scuola-museo di New York creata 185 anni fa, aveva venduto in maniera del tutto riservata due dipinti della Hudson River School: La Magdalena di Frederic Edwin Church del 1854 e il Monte Mansfield, Vermont di Sanford Robinson Gifford, del 1859. La transazione fu criticata dall' Associazione dei Direttori dei Musei d' Arte, tra i più feroci detrattori del nuovo trend, che da tempo richiede ai musei di non cedere le loro collezioni - a meno che non utilizzino i proventi per acquistare nuove opere - e proibisce espressamente la cessione di quadri per finanziare le spese capitali e correnti. «L' Academy ha violato il principio museale cardine - tuonò il portavoce della Associazione -, trattando la propria collezione come un asset finanziario, piuttosto che un patrimonio del genio umano da tramandare ai posteri».
Mentre per eludere le critiche molte istituzioni svolgono in segretezza queste transazioni, spesso con acquirenti privati, il Museo di Indianapolis ha deciso di lanciare una crociata per la trasparenza, pubblicando sul sito web la lista completa dei quadri venduti dal 2007 in poi. «Il problema è il possibile abuso di questa pratica - mette in guardia la Dobrzynski -, una volta che fosse concesso di vendere opere d' arte per coprire i costi operativi, in tempi di magra i musei ricorreranno subito a questo espediente».
Contro la vendita di opere d' arte per finanziare i musei si è levata l' autorevole voce di James N. Wood, presidente e amministratore delegato del Paul Getty Trust, che gestisce il Paul Getty Museum. «La responsabilità del consiglio di amministrazione dei musei è di natura filantropica, non finanziaria» tuona in una lettera al «New York Times» Wood, secondo il quale i musei rischiano di diventare «enti orientati al profitto». Ma non tutti sono d' accordo. David Gordon del Milwaukee Art Museum e Richard Armstrong, direttore del Guggenheim Museum di New York, sono scesi in campo per dire che secondo loro «è sbagliato porre dei limiti alla vendita di opere d' arte da parte dei musei». Per non chiudere il suo Vanderbilt Museum assillato dai debiti, la direttrice Carol Ghiorsi Hart si è appellata ai politici della sua contea. «Mi hanno consigliato di vendere qualche quadro - spiega -. Ho risposto che rischierei di perdere credito».
L' ultima parola spetta adesso al Congresso di Albany che ha all' esame una legge per obbligare i musei a catalogare - o vendere subito - tutte le opere delle loro collezioni. Una volta iscritte nei registri, le opere non possono essere messe in vendita a meno che non siano più in sintonia con la missione culturale del museo. E i proventi della vendita dovrebbero, comunque, essere reinvestiti per acquistare altre opere d' arte. «Dobbiamo evitare che la crisi sfoci nella privatizzazione selvaggia del nostro patrimonio artistico - mette in guardia il deputato democratico Richard Brodsky, artefice della legge -. Le collezioni sono custodite per il bene del pubblico e non possono essere riserve di capitale da usare in caso di emergenze».